Cosa si intende esattamente con made in Italy
Ogni prodotto è il risultato di una lunga catena di trasformazioni; spesso e volentieri questa catena fa il giro del mondo: dal Perù, dove viene estratta la materia prima, alla Cina dove prende vita il semilavorato, all’Italia dove viene confezionato ed etichettato. Allora come determinarne l’origine in modo univoco? E, soprattutto, quando possiamo definire un prodotto “made in Italy”?
L’art.60 CDU definisce il concetto di “origine non preferenziale”:
<<l’origine non preferenziale è garantita dalla produzione interamente svolta in Italia oppure dal fatto che in Italia si sia svolta l’ultima trasformazione sostanziale di quel bene>>
In altri termini: l’origine non preferenziale è il paese dove il bene è interamente prodotto (caso raro) o subisce l’ultima lavorazione o sostanziale trasformazione, mentre l’origine preferenziale si riferisce a rapporti tra l’UE e paesi terzi firmatari da accordi e presuppone che la produzione si svolga all’interno dei paesi menbri.
Per questo motivo sono frequenti i prodotti a marchio “made in Italy” alla cui base non vi è una filiera produttiva totalmente nazionale.
Naturalmente, non essendo presenti in Italia tutti i generi di materiali e/o industrie, sarebbe impossibile soddisfare l’esigenza di una produzione eterogenea e complessa soltanto attraverso le disponibilità locali. Quindi il legislatore ha cercato di salvaguardare l’innovazione e la creatività dei paesi trasformatori, quelli all’ultimo anello della catena, giustificandone l’impossibilità di reperimento di componenti in loco.
Relazione tra made in Italy e sostenibilità
Spesso, al fine di rimarcare caratteristiche peculiari di un prodotto, è evocativa la comunissima indicazione di provenienza “Made in…”. Così il Made in USA o Giappone è sinonimo di tecnologie all’avanguardia, il Made in Germany suggerisce alta affidabilità dei prodotti, il Made in Italy eccellenza in creatività e design.
Questo “marchio” di origine risulta utile anche quando desideriamo valutare la sostenibilità di un prodotto poiché porta con sé una normativa nazionale – giapponese, tedesca, italiana – specifica.
Ogni nazione ha una costituzione da cui si ramifica la normativa e ogni costituzione ha dei principi fondamentali e quindi delle priorità da salvaguardare o raggiungere.
Nella Costituzione italiana, a differenza di altri testi costituzionali, non compaiono norme specifiche sulla protezione dell’ambiente. Soltanto in seguito alla revisione costituzionale del 2001 è stato introdotto un vago principio di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (l’art. 117, comma 2, Cost., lett.s).
Il tema dell’inquadramento normativo dell’ambiente e della sostenibilità meriterà approfondimenti futuri, tuttavia si può affermare che, seguendo un approccio filosofico antropocentrico, la tutela ambientale è stata inquadrata in funzione del “diritto alla salubrità della persona”.
La tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 della Costituzione) e della salute (art.32 della Costituzione) sono centrali nel quadro normativo nazionale e questo si lega molto bene con i concetti di sostenibilità etica e ambientale.
La regolamentazione del lavoro e ambientale
Un lavoratore in Italia può contare su diversi diritti che non sono per nulla scontati quali: malattie retribuite, equità dei compensi basati su accordi collettivi nazionali, ferie retribuite per assicurare il recupero psico-fisico, orario lavorativo limitato ad 8 ore così da permettere la libertà di coltivare altri interessi, cure gratuite, diritto all’ambiente di lavoro salutare, proibizione utilizzo sostanze chimiche pericolose o utilizzo solo in condizioni di sicurezza, etc..
Sul piano della sostenibilità ambientale, come dicevamo precedentemente, la normativa è nata considerando l’ambiente non come bene da tutelare in sé ma come diritto all’integrità della salute della persona, tutela del paesaggio (art. 9 della Costituzione) e vincolo allo sfruttamento delle risorse pubbliche (art.44 della Costituzione).
Questo ha comportato la nascita di una serie di regolamentazioni volte a limitare i danni all’aria, all’acqua e al suolo, regolamentazioni poi rinforzate anche dalla legislazione europea e dagli accordi internazionali.
In Italia, le aziende che producono emissioni, rifiuti speciali e rilasciano sostanze chimiche nell’acqua, devono seguire rigidi protocolli.
Acquistando un prodotto di origine italiana possiamo contare quindi sul fatto che quel prodotto ha seguito processi nel rispetto di leggi che ben si allineano con gli obiettivi di sostenibilità etica ed ecologica.
Naturalmente l’Italia non è la sola ad avere una normativa orientata in questo senso. Se osserviamo i dati del Environmental Performance Index, EPI, (indice che seppur non basato sulla normativa, analizza le performance finali di una nazione basandosi su dati quantitativi ambientali), risulta che i paesi europei sono i più green al mondo, facendo dell’Europa la portavoce mondiale di questi ideali, e che purtroppo proprio l’Italia non è tra i paesi con i migliori risultati.
Un’ultima considerazione da fare rispetto al Made in Italy è la possibilità per l’acquirente italiano di ottenere il prodotto riducendo al minimo lo spostamento geografico e quindi l’impatto del trasporto.
Problematiche e possibilità di miglioramento
Come abbiamo visto il Made in Italy offre una buona garanzia relativamente alle qualità di sostenibilità del prodotto. Purtroppo anche per l’Italia il percorso verso la sostenibilità deve continuare e deve perfezionarsi probabilmente non tanto con la normativa, quanto con la presa di coscienza culturale.
Si potrebbe continuare ad emanare leggi e obblighi ma le probabili conseguenze sarebbero solamente un ulteriore appesantimento delle regolamentazioni.
Non si può controllare che tutte le imprese che producono prodotti di origine italiana non sfruttino la clausola dell’”ultima trasformazione sostanziale” per approvvigionarsi con materie prime a prezzo inferiore dall’estero. Se le imprese e i singoli cittadini desiderano aggirare le regole troveranno in ogni caso il modo di farlo.
Il consumatore però, acquistando con coscienza ed informandosi, potrà decidere con la sua spesa di premiare la trasparenza.
Per quanto riguarda il confronto internazionale, è come se continuasse ad esistere una guerra fredda.
Questa volta non si scontrano comunismo e capitalismo, ma diverse filosofie, scale di valori e priorità. Alcune maggiormente rispettose dell’ambiente e dei diritti umani altre più orientate ad interessi di crescita economica.
E’ nelle mani di chi ha il potere d’acquisto decidere, insieme al prodotto, quali valori finanziare, perchè è proprio da queste decisioni di finanziamento che dipendono i codici etici che prevarranno.
Una responsabilità enorme nascosta nei nostri semplici e distratti gesti quotidiani.